Manager e imprese italiane di fronte alla crisi energetica

manager e crisi energetica

La serie di choc esogeni innescata dal combinato disposto di pandemia e conflitto russo-ucraino sta già mettendo in ginocchio famiglie e imprese. Una crisi energetica senza precedenti che tocca gas, petrolio e carbone e che va ad aggravare l’aumento generalizzato dei costi delle materie prime e il caos nelle catene di approvvigionamento. Extra costi che inevitabilmente si allungano a tutta la filiera e che si ripercuotono sui listini, gonfiando l’inflazione e inducendo un calo dei consumi, per cui al crollo della domanda risponde un calo della produzione. Tutto questo mentre le imprese italiane si vedono soffiare quote di mercato da competitor stranieri, avvantaggiati da aumenti dei costi meno impattanti. L’Ocse ha già previsto un calo del potere d’acquisto del 3% per il 2022, mentre per le imprese i problemi principali sono l’accesso alla liquidità, la contrazione della domanda e l’esplosione dei costi.

Il governo Draghi ha già impegnato oltre 60 miliardi in misure per il contenimento dei rincari e il sostegno alle imprese, e il nuovo governo sta studiando un quarto decreto aiuti per ulteriori 5 miliardi. Da ultimo, la Commissione europea ha raggiunto un accordo per un price cap temporaneo e dinamico al prezzo del gas, da utilizzare per scongiurare tendenze speculative, e sta progettando una piattaforma comune per l’acquisto congiunto di gas da parte dei 27. Il Pnrr mette a disposizione validi strumenti per la transizione di medio e lungo periodo, e non va disperso. Ma senza tempestive ed efficaci risposte a livello comunitario il rischio recessione è dietro l’angolo. 

Di fronte a questo scenario apocalittico, l’Italia è tra i Paesi più dinamici in Europa e le imprese sono un cantiere aperto, in grande fermento. Cresce l’interesse per nuovi modelli di gestione, per l’automazione, la circolarità e l’efficientamento della produzione e gli uffici commerciali sono alla ricerca di nuovi mercati per gli approvvigionamenti, in primis quello energetico. Come stanno affrontando la crisi i grandi gruppi industriali italiani? 

 

Diversificare, sì ma a che costo?

La prima risposta, valida a contrastare la siccità energetica nel breve e medio periodo, consiste nella diversificazione delle fonti di approvvigionamento e nella loro flessibilità. L’Italia, che riceveva un anno fa oltre il 40% delle forniture di gas dalla Russia, si è vista ridurre questa quota al 18%. Già dai primi venti di guerra in Ucraina, il governo italiano si è mosso per siglare accordi con vari paesi produttori, primo fra tutti l’Algeria, che è oggi il nostro primo fornitore di gas attraverso il metanodotto Transmed. E con il governo azero è stata raggiunta un’intesa per raddoppiare in cinque anni la quantità di gas trasportata attraverso il Tap. In entrambi i casi, le infrastrutture di trasporto e le centrali di compressione vanno potenziate, costi che i soci italiani Eni e Snam dovranno accollarsi.

È arrivato il momento per rivedere l’energy mix e creare un nuovo equilibrio. Un’interessante soluzione viene dal gas naturale liquefatto, che permette di allargare la rosa dei fornitori, scegliendoli anche lontano dal Mediterraneo, e che può essere comodamente trasportato da navi metaniere allo stato liquido, risparmiando spazio e garantendo una maggiore flessibilità. Edison ha già firmato un contratto “free on board” (Fob) con Venture Global per prelevare il gas da un impianto in Louisiana e trasportarlo dove ce n’è più bisogno. “Il vantaggio” sostiene Fabio Dubini, responsabile gas&power portfolio management, “è di adeguare i tempi dell’import in base alle effettive esigenze di un Paese e di portare altrove i quantitativi in eccesso quando la domanda andrà calando mano a mano che i Paesi europei procederanno sulla strada della transizione energetica” (Luigi Dell’Olio, Edison rivede le forniture parte la sfida del green gas, La Repubblica Affari&Finanza, 19/09/2022). 

Ma anche per il Gnl occorre dotarsi di infrastrutture capaci e farlo presto. Lo sa bene Snam che ha acquistato due navi rigassificatrici all’esito di gare furibonde spuntandola a prezzi esorbitanti. La prima, costata 330 milioni, dovrebbe attraccare al molo di Piombino, dopo aver superato mesi di contestazioni degli abitanti con la promessa di compensazioni. La seconda, ancora più cara, per il momento si trova in Egitto e dovrebbe essere impiegata a largo di Ravenna nel 2024. Mentre a Rovigo, ExxonMobil e Qatar Energy promettono di investire 250 milioni nel potenziamento dell’Adriatic LNG, un rigassificatore già operativo (Eugenio Occorsio, Industria, la crisi peggiore, L’Espresso, 18/09/2022). 

Crescono intanto gli investimenti sui cosiddetti green gas, come il biometano, e sull’idrogeno verde, protagonista della strategia che l’Ue ha tracciato in tre fasi, da oggi al 2050, e fondamentale per sostituire una serie di processi industriali, in particolare quelli chimici. Un idrogeno che si distingue da quello già utilizzato per usi industriali, cosiddetto “grigio”, ottenuto a partire dal gas naturale con un processo di conversione termochimica molto inquinante. L’idrogeno verde al contrario è ottenuto da impianti ad energia rinnovabile attraverso il processo di elettrolisi dell’acqua. L’ostacolo principale al momento è costituito dai costi di produzione proibitivi, ma anche dalla scarsità di stoccaggi adeguati ad una tecnologia che conta già diversi progetti in fase di sviluppo. Anche per questo, nel breve periodo si sta puntando su un compromesso, il cosiddetto idrogeno blu, ricavato sempre dal gas ma le cui emissioni vengono catturate da un dispositivo tecnologico e conservato in depositi sotterranei. Un processo che sta incontrando lo scetticismo dei movimenti ambientalisti per un progetto nell’area di Liverpool, a cui partecipa Eni. 

Una rete più resiliente e digitale e sistemi di accumulo da potenziare

Necessariamente, che si punti sul gas, sull’idrogeno o sulle rinnovabili, la strada verso una crescente autonomia ed efficienza energetica deve passare dal potenziamento e dalla digitalizzazione delle infrastrutture, come ripetono da anni gli operatori del settore. Per Paolo Gallo, Ad di Italgas, “la digitalizzazione dell’infrastruttura è fondamentale”, le reti vanno rese sicure, intelligenti, resilienti e flessibili per accogliere le nuove energie verdi, (Diana Cavalcoli, “Energia, tecnologia e competenze l’occasione del Pnrr per essere leader”, Corriere della Sera, 12/10/2022) mentre per Daniela Gentile, Ad di Ansaldo GreenTech, si deve ancora lavorare molto sullo stoccaggio delle rinnovabili, “per evitare sprechi l’energia prodotta dalle rinnovabili va immagazzinata in modo da poterla usare quando ne abbiamo bisogno”. Un nodo centrale per le energie rinnovabili che sono in buona parte non programmabili e discontinue. (“Infrastrutture decisive per la svolta energetica”, Il Sole 24 Ore, 30/09/2022).

Terna sta già sviluppando gli elettrodotti per favorire il passaggio agli impianti rinnovabili del prossimo futuro, non solo su terraferma, ma anche tra le grandi isole. È il caso del Thyrrenian Link, che connetterà la Sardegna alla Sicilia e quest’ultima alla Campania, tra isole grandi e piccole dove l’opzione dell’eolico offshore non sembra più tanto lunare come prima della pandemia. Stefano Donnarumma, Ad di Terna, ritiene infatti che oltre i rimedi temporanei, la soluzione all’attuale crisi vada cercata senza compromessi nelle energie rinnovabili. Se il prezzo dell’energia fosse ancorato a queste ultime e non in prevalenza al gas, oggi avremmo un prezzo in bolletta inferiore del 90%. Per questo Terna sta investendo 18 miliardi in una nuova rete e in impianti di accumulo di grande taglia, adeguati al quantitativo previsto dal Pniec (Piano nazionale per l’energia e il clima) per il 2030, con i quali sarà possibile immettere 16 TWh all’anno di energia rinnovabile. Per centrare questo obiettivo, occorre anzitutto accelerare i processi di autorizzazione degli impianti eolici e fotovoltaici. (Francesco Bisozzi, “Solo con le rinnovabili usciremo dal tunnel della crisi energetica”, MoltoEconomia, 06/10/2022)

Un obiettivo non troppo lontano, se uno studio della Schneider Electric dimostra che, a livello europeo, con le tecnologie attuali si potrebbe già elettrificare il 90% della produzione di calore per gli edifici e il 78% per le industrie. Si potrà poi ridurre progressivamente l’impronta “grigia”, per avvicinarsi all’obiettivo dell’Accordo di Parigi, solo investendo sulla transizione dalle fonti fossili alle rinnovabili, favorendo l’elettrificazione di tutti i processi e migliorando l’efficienza energetica, prevalentemente grazie alla digitalizzazione. (E. Comelli, La Green Recovery? È sostenibile (se è più digitale), L’Economia del Corriere della Sera, 08/08/2022). 

Anche le infrastrutture di trasporto delle merci e delle persone si dovranno adeguare, come prescrivono le Missioni del Pnrr. Si tratta di oltre 60 miliardi stanziati complessivamente in Italia, tra fondi europei e risorse nazionali, per il settore delle infrastrutture, in particolare per lo sviluppo dei corridoi ferroviari Ten-t ad alta velocità, per l’efficientamento energetico dei porti italiani, a cominciare dall’elettrificazione delle banchine, e per il rafforzamento del sistema aeroportuale. Un Green Deal che prefigura un’imponente iniezione di valore aggiunto nel sistema produttivo, in termini di occupazione, ma anche in ricerca e sviluppo e in rapporto al “tasso di ritorno” degli investimenti. 

 

La via maestra sono le energie rinnovabili

Le crisi, ci insegna la storia economica, sono anche un potente volano per l’innovazione. Le soluzioni tecnologiche sono fortunatamente spesso già a portata di mano, non fosse che in tempi di abbondanza non c’è uno stimolo sufficiente ad utilizzarle per innescare il cambiamento. Ma si sa, la fame aguzza l’ingegno e anche questo autunno “freddissimo” potrà costituire una preziosa lezione da non lasciarsi sfuggire. La crisi potrà essere l’occasione per dare impulso alla transizione ecologica, per vincere la doppia sfida della decarbonizzazione e dell’autonomia energetica, puntando su fonti rinnovabili, come l’eolico offshore.

Ne sono convinti Francesco Starace, Ad e general manager di Enel, e l’economista norvegese Espen Stoknes, tra gli altri. Net Zero E-conomy 2050, uno studio realizzato da Fondazione Enel e presentato a settembre al Forum Ambrosetti di Cernobbio, mostra che la via maestra per la sicurezza energetica in Europa può passare solo da politiche che favoriscano la decarbonizzazione. La quota di energia importata dall’Italia è rimasta pressoché invariata nell’ultimo ventennio e con questa crisi è arrivato il momento di imprimere un rapido cambiamento di rotta. Una svolta che, come mostra lo studio, potrà garantire benefici non solo in termini di sicurezza energetica e di riduzione dell’inquinamento, ma ritorni consistenti in termini di occupazione ed economici.

Per Stoknes la guerra in corso ha reso finalmente visibile, come un nemico in carne ed ossa, la crisi climatica in atto da decenni e ci impone di cambiare le nostre metriche. Il rischio attuale è che in nome dell’emergenza ci si limiti a soluzioni che sono profittabili solo nel breve termine, mentre in una prospettiva più ampia sarà sempre più difficile e costoso avere un barile di petrolio o un megawatt di gas, e progressivamente sempre più semplice ed economico ottenere la stessa energia da fonti rinnovabili. Sarà anche fondamentale ridurre l’impronta carbonica creando valore aggiunto attraverso un ridotto impiego di materiali, perché l’autentica crescita verde, per essere immune dal sospetto di greenwashing, è quella in cui si aumenta la produttività delle risorse. L’Integrated Reporting è il nuovo strumento di rendiconto a disposizione delle imprese che può misurarla, unendo ai dati finanziari il calcolo delle emissioni e dell’impiego di biomassa e metalli. (Giovanna Faggionato, “Putin è il nemico che ci serviva. Non c’è sicurezza energetica senza transizione ecologica”, Domani, 25/10/2022)

 

Di necessità virtù: prosumer verso un’economia circolare

Ridurre l’impronta carbonica ed aumentare la produttività dei materiali attraverso economie circolari è precisamente quello che alcuni manager stanno cercando di fare in Italia. Come Piero Manzoni, ex Ad di Siemens Power e di Falck, oggi fondatore e Ad di Simbiosi, la prima Smart Land italiana. Un territorio “intelligente” su una superficie di oltre mille ettari nel pavese, dove si sta sperimentando un nuovo utilizzo responsabile delle risorse, ottimizzandone l’utilizzo senza impiego di prodotti chimici, come fa la natura. Ciò è possibile recuperando gli scarti della filiera agroalimentare e quelli urbani per produrre energia rinnovabile, prevalentemente biogas e biometano, programmabile e immagazzinabile, utilizzando l’intelligenza autoadattiva per monitorare in tempo reale i sistemi ed evitare sprechi. (Carlo Valentini, Nei campi della Smart Land, Italia Oggi, 22/10/2022). Anche Granarolo, in partnership con Cgbi, confederazione di bieticoltori italiani, punta all’impego degli scarti delle stalle per la produzione di biometano e digestato, un concime naturale che riduce l’impronta ambientale e l’utilizzo di prodotti chimici. (Marco Bettazzi, Dalle stalle alle stalle, l’economia circolare ci farà superare la crisi del gas russo, La Repubblica Bologna, 26/09/2022)

Per alcune imprese la crisi è l’occasione per affrancarsi dai contratti di fornitura tradizionali ed organizzarsi in proprio. Anche in questo campo, l’unione fa la forza. Nasce così il consorzio Renewability, un progetto di Epq e Dolomiti Energia Trading per creare un’aggregazione di consumatori di energia da impianti fotovoltaici capaci di fornire energia rinnovabile da remoto. Il consorzio, a cui partecipano le acciaierie Beltrame, Altair Chimica e aziende farmaceutiche, è una sorta di comunità energetica virtuale, perché svincolata dal territorio, che permette alle aziende consorziate di ricevere l’energia degli impianti ovunque siano in Italia, a prezzi vantaggiosi, senza doversi costruire un impianto in proprio vicino alla sede operativa. (Laura Serafini, Pannelli in multiprorietà, primo progetto per energivore, Il Sole 24 Ore, 22/09/2022) Anche Axpo Italia, filiale del gruppo svizzero di energie verdi, punta sul bisogno di cambiare sistema di fornitura da parte dei grandi consumatori industriali, e lancia una tariffa mista che garantisce energia rinnovabile per il 50% a prezzo fisso e per l’altra metà a prezzo indicizzato, con un orizzonte temporale di cinque anni che permetta di spalmare il prezzo dell’energia e di mitigare i rincari attuali. (Elena Comelli, La luce di Axpo. Prezzi “elastici” con le rinnovabili, L’Economia del Corriere della Sera, 17/10/2022)

Un bisogno di circolarità e di autonomia che tocca anche i settori tradizionalmente più energivori. Lo stanno facendo i big dell’automotive come Ferrari, che con Enel X Way ha installato sui tetti dei capannoni di Maranello un impianto fotovoltaico, mentre Stellantis annuncia imponenti investimenti per produrre energia direttamente nei propri stabilimenti. Per FS Italiane, la scelta di diventare “prosumer”, consumatore dell’energia che produce, è ineludibile e costituisce la sfida del prossimo piano industriale decennale. Attraverso l’installazione di impianti fotovoltaici e minieolici il gruppo guidato da Luigi Ferraris, proveniente da Terna, conta di arrivare a produrre due gigawatt di energia nei prossimi 5 anni, fino a coprire il 40% del fabbisogno interno. L’equivalente del 10% dell’intera potenza installata in Italia per il fotovoltaico, e questo utilizzando le strutture già edificate come capannoni, terminal, aree dismesse e parcheggi adiacenti alle stazioni. Nel solo 2021 Trenitalia ha già raddoppiato la produzione da impianti fotovoltaici e sta per inaugurare un nuovo sistema di riscaldamento a pompe elettriche nella stazione di Milano Centrale.

Un mondo nuovo ci aspetta oltre l’orizzonte, un mondo che si vorrebbe caratterizzato da maggiore autonomia energetica, inclusività ed equità. Per ora occorre darsi da fare e buttare il cuore oltre “l’inverno del nostro scontento” che si annuncia difficile. L’auspicio per il momento è che gli Stati membri dell’Unione Europea raggiungano un’intesa su una politica comune per gli approvvigionamenti energetici, compatibile con le esigenze primarie di ciascuno di essi, all’interno una visione di lungo termine condivisa.